di lateologia
Ho ricevuto in omaggio il libro di poesie di Mons. Michele Sasso e con somma gratitudine mi accingo a fornirne una breve recensione che non potrà mai rendere il patos che ho provato e spero, quindi, che invogli a leggere le opere dell’«uomo di Dio» don Michele, per emulare la cerva di biblica memoria e ristorare la nostra anima mentre pellegrini andiamo verso la vera Fonte. Il titolo richiama una fortunata canzone del compianto Lucio Battisti: Pensieri e parole, e infatti il libro di don Michele, si potrebbe titolare “Pensieri e Parole”: sì, perché l’Autore seppe vagliare i suoi pensieri in consonanza con la sua scelta vocazionale (cf. Sacerdoti chiamati alla stessa opera), trasformandoli in Parole, cioè la Parola divina “spezzata” per i suoi fratelli. Già dall’incipit comprendiamo la profondità di ciò che ci aspetta e, silenti, ci approcciamo al “mistero”. In Avrò una bara, infatti, attingendo alla teologia paolina, accenna a quello che sarà il destino ultimo di chi confida nel Signore: un corpo glorioso di Luce. Tema che ritorna verso la fine dell’opera con Staccarsi dalla terra e Nuovo anelito. I temi fondamentali della vita, della fede, della religione si rincorrono nel testo:
- il senso ineluttabile del tempo (Conquista, Desiderio, Ritorno, Il Tempo);
- il tema attuale dell’ecologia, della responsabilità dell’uomo “custode” dell’Eden terrestre (cf. le liriche in «Il rapporto tra l’uomo e il Creato»);
- la ricerca del dialogo tra i popoli e interreligioso, e tornano alla mente Maritain (nessun uomo è un’isola) e Levinàs (la ricerca del volto dell’altro) in Omogeneità, Figli dell’unico Padre;
- la fede e la ricerca incessante di un Trascendente si avverte in Certezza;
- l’amore, declinato in vari modi permea Cos’è l’amore, Cuore, Madre;
- per condurre il tutto alla via pulchritudinis con È bello.
Certo, poiché il poeta sente e “partorisce” i dolori del mondo non possiamo negare un certo influsso “leopardiano” in Invocazione alla luna o le tematiche affini a Schopenhauer in Vuoto enorme e Mi manca la Tua presenza, o la nausea di Nietzsche e il vuoto esistenziale di Heidegger che scriveva della «notte del mondo» in Sempre più freddo è il mio cuore. Ma, ovviamente, per don Michele il vaso di Pandora è il calice di Cristo eSpes, non l’ultima dea, ma la Speranza cristiana che, ricordando Peguy, procede tenendosi per mano con le sorelle Fede e Carità. Quindi non è mai un pessimismo fine a se stesso, anzi, è l’aprire il cuore al Signore che viene, come si evince in Nel regno della speranza, Seminatore è Lui, Dammi coraggio…, La speranza è la Tua bontà. Nonostante, anzi proprio perché ieri (21 marzo) è stata la Giornata della poesia, qualcuno potrebbe obiettare: “A che servono i poeti oggi?”. Specialmente in un tempo di solitudini e frammentazioni, di «società liquida», anzi rizomica, attraversato da inquietudini profonde? Rispondo semplicemente ricordando che don Michele, come «alter Christus», totalmente per Cristo, con Cristo, in Cristo, come Lui totalmente per gli altri, è ancora oggi, proprio per la sua capacità poetica di elevarsi fino all’Empireo Cielo, un segno eloquente, una testimonianza attiva. Siamo certi che il maranathà che traspare dalle sue liriche è stato il pass per farlo accedere in quella Pace da lui agognata, contemplando «panim el panim», quella Luce scritta, cantata, amata, ottenuta!
Aniello Clemente.
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